Uno Show Spettacolare per Niccolo’

The Coliseum on New Year's Eve. Credit: Creative Commons

31 dicembre 1994 – il miglior Capodanno della mia vita.

Vivevo a Roma da un anno ed ero incinta del primo figlio, al quinto mese di gravidanza. Per la vigilia di Capodanno, Gustavo e io eravamo stati invitati a cena con un gruppo di amici nel rione Monti, alla Salita del Grillo, una stradina che si affaccia sulle rovine del Foro.

Una piccola digressione sulle tradizioni di Capodanno in Italia. Gli italiani fanno un massiccio impiego di fuochi d’artificio a mezzanotte per accogliere l’anno nuovo, o forse per spazzare via quello vecchio. A Napoli, la gente getta dalla finestra le cose vecchie. Via il vecchio, avanti il nuovo. Inutile dire che non è molto sicuro girare per le strade di Napoli la sera di Capodanno, ci sono sempre tante persone ferite da petardi e colpi di arma da fuoco, e sono sicura che nessuno vorrebbe vedersi cadere in testa la vecchia lavastoviglie di qualcuno.

A Roma si indossa biancheria intima rossa, considerata di buon auspicio, e si mangiano lenticchie con l’idea che portino soldi. I fuochi d’artificio a Roma sono sempre grandiosi. Così, indossata la biancheria intima rossa, prendemmo lo champagne e andammo alla nostra festa.

Gustavo e io avevo discusso i possibili nomi del nascituro. Cercavamo di trovarne uno che funzionasse sia in inglese che in italiano e ci eravamo arenati su un nome che cominciava per Nic. Io volevo Nicholas e lui Nicola. A Gustavo non piaceva la ‘s’ alla fine del nome americano e a me non piaceva la ‘a’ alla fine di quello italiano (per il semplice motivo che agli anglosassoni sarebbe parso un nome da donna).

Fra gli ospiti di quella sera c’erano degli amici toscani. I toscani sono convinti – forse a ragione – di essere la regione migliore d’Italia. Credono che la loro cucina sia la migliore, che il loro uso della lingua italiana sia il più corretto, che il loro vino e il loro olio d’oliva siano i più buoni, che le loro campagne e le loro città siano le più belle. I loro artisti (Michelangelo, Botticelli, Leonardo Da Vinci), scrittori (Dante), musicisti (Puccini) e filosofi (Machiavelli) sono semplicemente superiori a chiunque altro al mondo. Forse hanno ragione. Così a metà cena, il nostro amico di Siena Lorenzo Pecchi dichiarò: “Ho la soluzione perfetta per il nome – Niccolò – come Niccolò Machiavelli – uno dei grandi pensatori toscani.”

Mangiai cotechino e lenticchie riflettendo sul nome Niccolò. Avevo qualche dubbio proprio perché era legato a quello di Machiavelli, che in America ha una connotazione leggermente negativa, ma decisamente meno problematica in Italia – dove la politica machiavellica è la norma, se non addirittura una forma d’arte. Cominciai a pensare che Niccolò suonasse bene, e mi piaceva il diminutivo Nico.

Prossimi alla mezzanotte, con un bicchiere di champagne in mano, andammo sulla terrazza da cui si godeva una magnifica vista sul Foro Romano. Per tutta la sera, il crescendo dei cosiddetti ‘botti’ era stato costante e mentre salivamo di sopra, le esplosioni si facevano sempre più incessanti. Quando uscii sulla terrazza, quasi mi si fermò il cuore. Sembrava di essere in guerra. Fui tentata di correre al riparo a ogni nuovo scoppio o di gettarmi a terra, ma poi mi lasciai ammaliare dallo spettacolo dei fuochi d’artificio che rischiaravano San Pietro in lontananza, e il Colosseo e il Foro davanti a noi.

Il fragore rendeva impossibile parlare. Abbracciai forte Gustavo nell’aria fredda sotto quella pioggia colorata. Dopo un po’ lui mi sussurrò all’orecchio: “Allora siamo d’accordo per Niccolò?” Io annuii e sigillammo il patto con un bacio appassionato sotto un cielo solcato da strisce di luce.

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