Push-Up Nello Spazio

Freeze frame of APTN video for story on Pizza in Naples. Cameraman prefers to remain anonymous. I think he forgot he was supposed to be filming the pizza

In Italia le donne non hanno bisogno solo di lunghe e seducenti gambe vellutate. No, qui va forte un bel seno florido e baldanzoso. L’ideale italiano è il look alla Sophia Loren (presto posterò qualcosa anche su di lei) e non potevo ignorare l’argomento.

Come madre che lavora, mi è sempre stato difficile mantenere uno standard minimo. Ma gli standard italiani dell’apparire sono molto più alti di quelli americani. Ho toccato il fondo durante i grandi avvenimenti, come la morte di Giovanni Paolo II. Ma penso di aver raggiunto il punto più umiliante della mia vita durante la guerra del Kosovo. Ero impegnata 24 ore al giorno, gestivo troupe, servizi, attrezzature e soldi. E avevo tre bambini a casa. Ero esausta. Per mesi non mi sono curata affatto del mio aspetto. Mi alzavo al mattino, mi gettavo addosso la prima cosa che trovavo e andavo al lavoro. Un giorno mi sono ritrovata da sola in ufficio durante un inaspettato momento di calma. Era l’ora di pranzo. Ho deciso di uscire e di recarmi alla Rinascente per comprare qualche vestito.

Gironzolando per il magazzino mi sono ritrovata nel reparto “Intimo”. “Forse mi comprerò un bel reggiseno nuovo” ho pensato tra me e me. Ma aggirandomi tra quegli indumenti sexy e provocanti in bella mostra, non sono riuscita a trovare niente della mia taglia. Il reparto era vuoto e la commessa non aveva granché da fare, così le ho chiesto aiuto. Le ho detto la mia misura. “Cosa?!” mi ha risposto incredula, fissando con compassione il mio petto. “Non abbiamo taglie così piccole.”

Mi sono sentita morire. Dopo aver allattato tre creature, ero piatta come un’asse da stiro e a quanto pare nessuna italiana potrebbe mai accettare un fatto del genere. “Aspetti un minuto,” ha replicato, “forse ci sono case francesi o americane che dispongono di taglie così piccole.” Non sono sicura di cosa sia successo, ma qualche istante dopo ero di fronte allo specchio del camerino con indosso un ‘Wonder Bra’. Il ‘Wonder Bra’ è un attrezzo complicato progettato per rendere anche la donna più piatta, spingendo qui e comprimendo là, somigliante a Marilyn Monroe.

Poi è accaduto l’inevitabile. Ha squillato il cellulare. Era la nostra sempre scrupolosa e sempre competente producer di Londra, Sally Arthy. Voleva parlarmi della troupe in Albania. Due cameraman in uscita e due nuovi cameraman in entrata. Dovevo occuparmi dei voli, delle macchine, degli hotel, della revisione dell’attrezzatura e delle diarie. Mi sono seduta sul pavimento, ho tirato fuori la mia agenda e ho cominciato a prendere nota. Qualche minuto dopo hanno bussato alla porta del camerino. “Tutto bene?” Era la commessa. “Sì, a posto,” ho gridato allegramente, “Ho ricevuto una chiamata sul telefonino.” “Bene, bene.” ha mormorato la commessa. Gli italiani sono molto tolleranti con le interruzioni da telefonino. Alcuni amici italiani rispondono al cellulare anche dentro il cinema.

“E’ un brutto momento, Trisha?” mi ha chiesto Sally. “No, no.” Ho detto dando un’occhiata nello specchio al mio seno ingabbiato nel ‘Wonder Bra’, pensando a quale producer televisiva di un’agenzia stampa degna di questo nome si sarebbe mai fatta trovare morta in uno di questi affari. “No, non disturbi affatto.” Quando si lavora per un’agenzia stampa televisiva, la regola numero uno è che non ci sono mai brutti momenti. Si è sempre disponibili.

Abbiamo concluso la conversazione e mi sono rivestita. Ho rimpacchettato il ‘Wonder Bra’, ho preso la borsa e sono uscita dal camerino. La commessa ha alzato gli occhi mentre mi avvicinavo. Ho posato la scatola del ‘Wonder Bra’ sul bancone, le ho fatto un bel sorriso e ho detto: “Il ‘Wonder Bra’ non è proprio per me. Penso che mi ci vogliano le protesi in silicone.” Sorridendo ha annuito in segno di approvazione.

Nel corso degli anni mi sono sentita molto fortunata a non essere una giornalista televisiva italiana. Le giornaliste che appaiono in televisione devono essere belle e sexy e per questo sono sempre sotto pressione.

Una sera, nel ’90, quando sono arrivata in Italia per la prima volta, mio marito stava guardando un programma sportivo con la solita esperta di calcio vestita in modo succinto e gli ho chiesto: “Perché in questo Paese nei programmi sul calcio si vedono cinque uomini in giacca e cravatta che parlano di gioco e una donna in minigonna e top trasparente che si comporta come un’idiota?” “Che dici?” ha risposto mio marito senza staccare gli occhi dalla TV e dalla sexy e formosa esperta di calcio. Ci ho rinunciato.

Il mio amico Greg Burke, corrispondente della Fox a Roma, mi ha raccontato che stava guardando uno di questi spettacoli sportivi dove c’era una donna prosperosa che sotto la giacca non indossava nulla. A un certo punto il presentatore ha detto: “Posso dare un’occhiata?” e scostando leggermente la giacca ha guardato dentro. Greg mi ha raccontato che nello studio tutti hanno riso e anche la donna ha accettato l’umiliazione divertita. Greg ha aggiunto: “In quel momento ho pensato che se solo avessi osato fare una cosa del genere, il giorno dopo sarei stato licenziato su due piedi.”

Un paio di anni dopo un collega si è lasciato con la fidanzata. In ufficio era sempre un po’ depresso e così gli ho detto: “Bene, che tipo di donna ti piace? Sportiva? Intellettuale? Forse ho un paio di amiche single che potrei presentarti.” Ha alzato la testa e ha risposto allegramente:“Mi piacciono le donne con i “meloni!”

Aiuto! Che c’entrano gli uomini italiani con i “meloni”? Ho chiesto al cinquantenne cameraman Enrico Pergolini se poteva illuminarmi sulla questione dei meloni. “Trisha, a noi piacciono i meloni perché ci sentiamo coccolati, ci danno la sensazione di essere con la nostra mamma. Sai, alla fine della giornata ritorniamo tutti cocchi di mamma!”

Avanti veloce al settembre del 2011. Credo che con l’età mi stia trascurando un po’. Ho smesso di ricercare quel look tipicamente italiano “gambe lunghe e grosse tette”. L’altro ieri essendo una calda giornata romana, al lavoro indossavo un leggero vestito a fiori. Non mi importava niente se si intravedeva il mio vecchio reggiseno, ma ho un capo che non permette distrazioni. Francesca esprime la sua opinione su tutto (personale o professionale) e non accetta repliche. E’ capace di rispedire un cameraman a rifare un’intervista se nel video si vede il microfono. Una volta a una stagista che indossava pantaloni a vita bassa che mostravano la piega del sedere ha detto che se li avesse indossati di nuovo, avrebbe perso l’internato. Così Francesca non ci ha messo molto per prendermi da parte e dirmi: “Cos’è quel reggiseno da suora? A Via del Corso c’è un saldo di reggiseni, ne hanno di diversi colori e sono anche push-up per darti un po’ di forma. Prenditi una pausa questo pomeriggio e comprane a dozzine!”

Ho seguito il consiglio di Francesca e ho comprato sei reggiseni, tutti colorati. Qualche giorno dopo ne ho indossato uno e sono uscita. Improvvisamente ho avuto una strana sensazione. Il nuovo reggiseno mi stava veramente spingendo verso l’alto. Non era una piccola spinta. Sto parlando di una spinta a razzo che può mandare in orbita lo Shuttle. Mi sentivo pronta al decollo. Mamma Mia!! E ne ho sei! Fate attenzione, voi della NASA con i vostri razzi spaziali, io vado sulla Luna! E comunque, che c’è di male nel look alla Keira Knightley?

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