La settimana scorsa, un mio collega di AP, il trentacinquenne Simone Camilli, è rimasto ucciso a Gaza mentre riprendeva una squadra di artificieri palestinesi che disinnescava l’ordigno inesploso di un raid israeliano. Nella deflagrazione sono morti anche il traduttore di AP Ali Shehda Abu Afash e quattro artificieri. Il fotografo di AP Hatem Moussa ha riportato gravi ferite.
La notizia ha lasciato interdetti e sconvolti tutti noi nell’ufficio di Roma. Simone era uno di noi. Il secondo dipendente che muore quest’anno e il trentatreesimo dalla nascita di AP nel 1846, ma è l’unico che conoscevo bene.
Venerdì, insieme a tanti colleghi di Roma, Londra, New York, Paris, Bruxelles e Gerusalemme, sono arrivata a Pitigliano per il funerale. Su Simone è già stato detto molto, ma volevo aggiungere qualche pensiero.
Simone è arrivato nel nostro ufficio di Roma come stagista nel 2005. Alto, gambe da stambecco e una massa di capelli arruffati. Ricordo che Maria Grazia – il mio capo – ed io, lo prendevamo in giro offrendoci di prestargli i nostri fermaglietti per andare a coprire gli eventi in Vaticano. Lui sfoggiava un sorriso tenero e si legava i capelli. Ed è questo che più ci mancherà: il suo sorriso dolce, la sua indole pacifica.
Simone faceva tutto quello che gli veniva chiesto e imparava alla svelta. Poche settimane, ed eccolo lì a girare, girare, montare, trasmettere, scrivere in inglese, condurre interviste in inglese e in italiano, organizzare la copertura di eventi complicati. Si era reso molto utile durante gli ultimi mesi di vita di Giovanni Paolo II e APTN lo aveva ingaggiato per il funerale, il conclave e l’elezione di Benedetto XVI. Lavorava per lunghe ore ovunque ci fosse bisogno di lui, senza lamentarsi e con ottimi risultati.
Simone era un compendio di umiltà, serenità e singolari doti tecniche ed editoriali. Il perfetto esempio del video-giornalista: sapeva girare, montare, scrivere, intervistare, operare un mezzo satellitare. E sempre col sorriso. Non l’ho mai visto arrabbiato o stressato, non alzava mai la voce. Come ha scritto il mio collega londinese Toby Goode: “Ricordo Simone come una persona buona e gentile, di grande talento, mai presuntuoso. Sia che fossimo lì a rincorrere le notizie per le strade di Roma o a discutere l’organizzazione di un evento al telefono da Londra, lavorare con lui era sempre una gioia.”
All’epoca, il direttore dell’ufficio di Gerusalemme Chris Slaney era a Roma per coordinare la copertura dei funerali del Papa e ricordo che durante una pausa al Caffè Doria sotto il nostro ufficio, Simone mi disse che stava studiando l’arabo e voleva tanto andare in Medio Oriente. Mi chiese se fosse il caso di parlare con Chris per un incarico temporaneo a Gerusalemme.
Come Chris Slaney lo ha descritto durante il funerale: “Simone – giovane, intelligente, entusiasta – mi ha chiamato nella primavera del 2006 chiedendomi di trovargli un incarico temporaneo a Gerusalemme. Ci eravamo conosciuti un anno prima mentre mi trovavo a Roma per lavoro. Simone voleva ampliare la sua esperienza dedicandosi a qualcosa di diverso e più impegnativo. Malgrado le difficoltà, la Terra Santa era un luogo che lo affascinava al punto da immergervisi totalmente, e non solo come giornalista. La gente, la storia, la musica, il cibo… i suoi interessi erano molteplici e profondi. Tre mesi diventarono un anno, poi tre, poi ancora…”
Durante gli anni trascorsi a Gerusalemme, Simone tornava spesso a Roma per lavorare con noi su varie storie. Nel giugno del 2009, mi chiesero di coordinare il meeting dei Ministri degli Esteri del G8 a Trieste. Avevo a disposizione diversi cameramen e un tecnico satellitare, ma ero ansiosa, pensavo non bastassero: erano attesi Hillary Clinton e altri importanti personaggi politici, e io non volevo fare fiasco. Simone era a Roma, e la senior producer di AP Maria Grazia Murru lo incaricò di venire con me. Sollievo. Simone sapeva gestire ogni cosa, con lui nella squadra, mi sentivo sicura. Preparai un piano per stanare i leader, riferire sui meeting bilaterali e partecipare agli eventi per la stampa. Oltre a ciò, bisognava riprendere scene di ambientazione e scorci di Trieste, e intervistare gli analisti.
La mattina del primo giorno, ci alzammo presto per realizzare il servizio sull’apertura dei lavori. Appena pronti, ricevetti una telefonata da Londra. Era Tanya, il direttore di produzione del giorno che mi disse: “Non hai sentito, Trisha? E’ morto Michael Jackson. E’ una notizia esplosiva. Lascia stare gli esiti degli incontri, chiedete ai Ministri un commento su Michael Jackson.”
SIGH! Ci sono momenti in cui lavorare per un’agenzia stampa televisiva può essere molto frustrante. Chiamai a raccolta la squadra: occorreva continuare a seguire tutto, ma con un taglio su Michael Jackson. Simone rise, strinse le spalle e si avviò insieme a Gianfranco Stara, il cameraman di AP Roma, per portare a casa il pezzo – come si dice in gergo. Purtroppo il risultato fu un misero fallimento.
I Ministri non erano stati al gioco. Non eravamo riusciti a farci dire dal britannico David Milliband se preferisse Thriller o Billie Jean, e il francese Bernard Kouchner non ci aveva mostrato la sua versione del famoso moonwalk di Michael Jackson. Realizzammo servizi su ogni cosa, ma senza commenti su Michael Jackson. APTN non usò niente.
A fine giornata, spegnemmo il mezzo satellitare e ci avviammo tutti verso l’hotel. “Dai Trisha, rilassati.” disse Simone. “Tranquilla, non puoi farci niente. Non c’è nient’altro che possiamo fare. Torniamo a piedi in albergo e ti offro una birra.” Così ci godemmo lo spettacolo del porto di Trieste e arrivammo nella magnifica Piazza dell’Unità d’Italia. Qui Simone cominciò a parlarmi di Ylva, una bellissima ragazza olandese conosciuta a Gerusalemme. Era innamorato perso di lei, prese il telefono per mostrarmi la sua foto. Era davvero bella. A Simone venne voglia di chiamarla e si scusò con me: voleva farlo subito. Ci fermammo al centro della piazza e io rimasi ad ammirare il mare che faceva da sfondo agli eleganti edifici. Soffiava la Bora, faceva fresco. Io mi sentivo ancora stressata da quella giornata sprecata. Guardai Simone che parlava al telefono con il suo nuovo amore e pensai: “Ecco un uomo con le giuste priorità.”
Durante il funerale, Ylva era il ritratto della dignità. E’ entrata in chiesa con il suo semplice vestito blu, i ricci biondi che le incorniciavano il viso, tenendo per mano Nour, la loro bambina di tre anni. A un certo punto della cerimonia, Ylva si è alzata per leggere la sua lettera a Simone. Ha iniziato così: “Ricordo benissimo la prima volta che i nostri sguardi si sono incrociati mentre camminavamo in direzioni opposte su una strada di Gerusalemme: era proprio questo mese di otto anni fa. Rimasi subito colpita dal tuo sguardo tenero e dal tuo sorriso timido. Passammo le ore successive a parlare del Medio Oriente e del tuo incarico alla AP di cui eri tanto entusiasta. Alla fine della serata, mi ero innamorata di te e non ci siamo più lasciati.”
Ylva e Simone si erano appena trasferiti a Beirut con la loro figlia Nour. Il mese scorso, Simone è passato da noi in ufficio e siamo andati a prendere un caffè al Doria. Simone era felicissimo del suo contratto la AP a Beirut. Io ho voluto dargli un consiglio da madre, quello di non oltrepassare il confine perché è troppo rischioso andare in Siria. (Non mi sarebbe mai venuto in mente di dirgli di non andare a Gaza. Lui sapeva tutto di quella storia. Conosceva gli israeliani e i palestinesi, sapeva come muoversi, dove andare e cosa evitare. Non era uno che correva rischi inutili, voleva solo raccontare le notizie.) Simone mi ha guardato e con il suo solito sorriso, ha risposto: “Tranquilla, Trisha.”
Nessuno di noi dimenticherà mai il suo sorriso dolce e il suo carattere pacifico.
Chi fosse interessato ai due documentari da cui ho preso le freeze frame, About Gaza e Gaza 22, girati da Simone, può trovarli qui: Opacomedia