Annaspare In Farmacia

A Pharmacy in the Italian town of Rocca di Papa. Photo by Nicolee Drake

In Italia, la maternità è spesso considerata un’attività di gruppo. Tutti sono partecipi – genitori, nonni, zii, padrini, il pediatra e, credeteci o no, il farmacista. Mi sono abituata presto alle tante opinioni della mia pediatra, ma stare a sentire anche il farmacista mi sembrava troppo. Tanto per cominciare, non mi piacciono le farmacie italiane. Un drugstore americano è come un supermercato, il cliente può aggirarsi fra gli scaffali, scegliere quello che vuole e pagare alla cassa. Nelle farmacie italiane, bisogna chiedere al farmacista dietro il bancone. A volte questo si sente obbligato a intavolare una conversazione sul prodotto che hai chiesto. E per me, questo è fonte di grande imbarazzo.

La prima volta che ho preso l’influenza in Italia, sono andata a comprare uno sciroppo per la tosse e sono rimasta mortificata dalla discussione seguita alla mia semplice richiesta. “Tosse grassa o secca?”, ha chiesto il farmacista. “Ehm… secca”, ho risposto con troppa esitazione. “E’ sicura? – ha insistito lui – Non c’è muco?”. Ho risposto di no, cominciando a sentirmi frustrata. “Quando si soffia il naso, il muco è chiaro o giallo?”. Ho risposto che non lo sapevo, sentendo il viso andarmi in fiamme per la vergogna di essere ascoltata dalle persone in fila dietro di me. Il farmacista ha riflettuto un secondo, poi finalmente ha preso lo sciroppo, ho pagato in fretta e sono scappata.

Le cose non migliorano quando chiedi una cosa semplice come una crema. “Per il visto o per il corpo?  – chiede il farmacista – Le occorre una crema antirughe o idratante?”

E lo stesso scenario si presenta per la miriade di prodotti per bambini, dai calmanti ai pannolini. Una volta, al mio ritorno dalle vacanze estive negli Stati Uniti, sono andata a comprare il latte in polvere per Chiara che allora aveva tre mesi. Per evitare ogni discussione, mi ero preparata il nome del prodotto.

“Posso avere una scatola di latte in polvere, Plasmon Primi Giorni o Nidina?”, ho chiesto. La farmacista si è voltata a parlare con la sua collega. “Dottoressa… bla, bla, bla…” Poi si sono rivolte a me.

“Quale tipo di latte ha usato finora?”, hanno chiesto. Tante mamme americane avrebbero avuto la tentazione di rispondere: “Non sono affari tuoi, dammi il latte e facciamola finita.” Però vista la mia lunga esperienza con le farmacie italiane, ho risposto che avevo allattato al seno o usato l’Enfamil, un latte in polvere in vendita negli Stati Uniti.

Le farmaciste hanno ripreso a confabulare. “Ma dottoressa… bla, bla, bla”, diceva una, e altra: “No, ma dottoressa…” Poi sono tornate da me e mi hanno chiesto qualche azienda producesse l’Enfamil. Ho detto che non ricordavo, forse la Proctor and Gamble, la Johnson and Johnson, o la Mead and Johnson…

Le persone dietro di me si stavano spazientendo, e anch’io. La farmacista ha preso un catalogo. “Dobbiamo trovare un latte in polvere  compatibile”, ha decretato sfogliando la pubblicazione. “No, non è necessario – ho risposto secca – Voglio il Plasmon Primi Giorni o il Nidina, che ho usato con gli altri figli e andava bene.” Questa risposta ha scatenato subito altre consultazioni. “Ma dottoressa…” “No, ma dottoressa…”

Alla fine, una delle due farmaciste è tornata da me e ha detto: “D’accordo, glielo daremo in forma liquida, così può provarne una piccola quantità con la sua bambina.” A quel punto ero davvero arrabbiata (quello liquido costa di più), ho detto che volevo quello in polvere e l’ho avuto.

Me ne sono andata pensando: Grazie a Dio era solo latte in polvere. Immagina se si fosse trattato di profilattici. Mi figuravo le farmaciste che mi chiedevano: “Quanto spesso fa l’amore? Quanto dura? Li vuole lisci o rugosi?” Aarrggh…..!

In Italia, rivelare i dettagli intimi della tua vita al farmacista è una cosa normale. Quando Nico aveva 16 anni, una mattina, mentre uscivo di fretta, mi ha chiesto di comprargli con grande urgenza una crema per  i brufoli. Chiaramente è italiano abbastanza da sapere quale discussione con il farmacista avrebbe innescato una richiesta simile. (in un altro post, parlerò di brufoli, brufoloni, brufolini, e altre parole italiane).

Così, dopo il cappuccino al bar vicino all’ufficio, sono andata in farmacia. Quando ho spiegato che mio figlio di 16 anni aveva urgente bisogno di una crema per i brufoli, la farmacista ha fatto il giro del bancone e con grande empatia ha dichiarato: “Oh, poverino, è così difficile per gli adolescenti quando gli vengono i brufoli!”. Mentre mi guidava verso lo scaffale pieno di costose creme francesi, ha continuato a tempestarmi di domande: “I brufoli sono eruttivi o secchi? Sono diffusi ovunque o localizzati?”

Naturalmente anche io sono diventata un po’ mamma italiana e non sopportavo l’idea che questa farmacista pensasse che mio figlio avesse il viso ridotto a una pizza con i peperoni. Perciò ho reagito: “Ma no, i suoi brufoli non sono tanto terribili. Mio figlio è un giocatore di pallanuoto alto e bello. Ha tre piccoli brufoli in tutto, qui e qui.”

Idiota. Perché avevo menzionato la pallanuoto?  La farmacista ci è aggrappata come l’edera. “Ah, la pallanuoto… nuotare ogni giorno con tutto quel cloro nell’acqua… è un grande stress per la pelle. La secca. Bene, allora ci vuole un gel detergente, una crema per il viso e una per i brufoli.”

Mi imbarazza un po’ ammettere di essere uscita dalla farmacia con 42 euro di costosi prodotti francesi. Alla fine la farmacista ha avuto anche l’ardire di chiedermi se volevo provare una crema antirughe francese. Credo che avesse notato qualche rughetta attorno agli occhi mentre cercavo di leggere le indicazioni sulla scatola della crema per i brufoli. Però quella volta sono riuscita a evitare la discussione sull’ampiezza e la profondità delle mie zampe di gallina.

Leave a Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *