Il Gancio di Coda e L’Elegante Cena Italiana

Nel mio lavoro con l’APTN ci sono stati episodi molto eccitanti che di solito uso per sorprendere gli italiani che credono ancora alla storia della ‘Brava Mamma Italiana’. Durante la guerra in Bosnia e nel  Kosovo, l’APTN ci inviava spesso sulle portaerei che trasportavano i caccia destinati alle missioni di bombardamento. Intraprendere un volo da una portaerei è un’esperienza atroce. Un soldato ti fornisce un grosso elmetto con occhialoni e cuffie.  Sali su un piccolo aereo e ti siedi al contrario. L’aereo è dotato di quello che viene chiamato il gancio di coda e il pilota deve volare basso sopra la portaerei per afferrare uno dei quattro cavi che si snodano lungo il ponte. Questo  cavo fermerà immediatamente il velivolo. Il problema è che spesso i piloti non agganciano il cavo al primo tentativo oppure saltano l’intera operazione facendo precipitare l’aereo in mare. Per questo c’è sempre un po’ di paura.

 

E i piloti e gli assistenti che prendono a bordo degli aerei i giornalisti si divertono un mondo a terrorizzarli prima del decollo. L’aereo è buio e i passeggeri sono coperti con elmetti e cuffie e quindi non è possibile alcuna conversazione. Prima della partenza, due soldati illustrano i vari gesti che useranno quando l’aereo atterrerà.  Per esempio, braccia su (cioè, tieniti pronto a uno scossone improvviso), lo stesso vale se il velivolo è finito in acqua (tieniti pronto a morire, più o meno).

 

La prima volta è stato orribile. Ero seduta accanto a un cameraman della CBS, Vito Monaco, e ci siamo scambiati uno sguardo di intesa mentre abbiamo preso il volo. Ci avevano detto che sarebbe durato 45 minuti, cosicché, impossibilitata a parlare, cercavo di ricordare tutti i gesti e guardavo sempre l’orologio.

 

Alla fine è arrivato il momento cruciale e i due militari davanti hanno fatto il gesto “stiamo  atterrando”. Mi sono preparata. Poi è successo una cosa terribile. Il pilota ha mancato il gancio di arresto e ha sorvolato tutto il ponte. Non sapevo cosa stesse succedendo, ma all’improvviso ho sentito che l’aereo aveva ripreso quota (decollando dall’estremità del ponte?) e si era rigirato sottosopra. Vito e io ci siamo abbracciati disperatamente  pensando che fosse giunta la fine. Ora, cosa stavano gesticolando? Non ricordavo nessun gesto, il mio cuore batteva all’impazzata. Ma poi l’aeroplano si è raddrizzato e ha fatto un giro intorno alla portaerei. I piloti hanno fatto di nuovo il gesto di atterraggio e di colpo ci siamo fermati sul ponte.

 

Quando siamo scesi dall’aereo, chiunque non fosse un giornalista si è comportato come se nulla fosse successo. Invece il tecnico del suono freelance che lavorava con Vito era diventatao verde. Povero disgraziato! Penso che volesse ritornare a casa dalla mamma. Ma niente è paragonabile a quella sensazione di felicità di essere “appena scampata alla morte.” E’ un’ebbrezza che dura circa tre giorni.  Abbastanza da permettermi di andare su e giù per le sei rampe di scale della portaerei con il cavalletto intervistando quegli affascinanti e virili top gun.

 

Anni dopo, mi ritrovo a un’elegante cena a Roma con un gruppo di economisti. Avendo per marito un economista, sono diventata un’esperta frequentatrice di cene con economisti. Non capisco nulla di economia e di solito mi attengo alle regole di Gustavo sulle cene italiane: parlare solo di cibo.

 

Ma a questa particolare cena c’è un economista che è anche l’ex ministro della Difesa italiano. Domina la tavolata con il racconto delle sue gloriose gesta come ministro e i commensali ne sono rispettosamente colpiti.  Durante il dessert, si lancia in un racconto che recita più o meno così: “Una volta, mentre ero ministro della Difesa, dovevo far visita a una portaerei americana e mi hanno messo su un aereo che doveva atterrare sulla portaerei. Il pilota era un donnone di colore  – sia chiaro, non ho niente contro la gente di colore e le donne pilota – ma quando l’ho vista, ho veramente tremato.”

 

E’ troppo! Nessun maschio italiano può sparlare di una donna afroamericana pilota della Marina USA a tavola con me! Come se avvessi sentito il colpo dello starter e fossi stata un cavallo da corsa imbizzarrito ai nastri di partenza, mi lancio nel drammatico racconto del mio atterraggio sulla portaerei — la Mamma coraggiosa con tre bimbi a casa — e dei pavidi maschi italiani diventati verdi dalla paura.

Bocche spalancate dei commensali. Gustavo dall’altra parte del tavolo che usa tutti i mezzi possibili per farmi segno di tagliare: con le dita a V mimando le forbici, muovendo le labbra per dire “basta”. Ma niente può fermarmi. Alla fine il mio racconto cessa bruscamente e notando lo sgomento intorno alla tavola, la nostra ospite suggerisce diplomaticamente: “Perché non ci trasferiamo in salotto per prendere il caffè?”

 

Esco dal ricevimento tutta tronfia. Ho dato sfogo all’americana in me e mi sento soddisfatta. Gustavo apre la portiera della nostra Fiat, si siede al volante, scuote la testa e rivolgendosi a me con un accenno di sorriso sul viso: “Non ce la fai proprio a parlare di cibo, vero?”

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