Da americana che vive in Italia, ho imparato che le mamme italiane passano la giornata a misurare la febbre ai figli. Quando un bambino ha l’influenza, la mamma deve misurare la temperatura almeno quattro o cinque volte al giorno per riferirla, completa di decimali – 38.3, 39.1, 37.9 – alla suocera, al marito e al pediatra. Un pediatra del Servizio Sanitario Nazionale è obbligato a fare visita al bambino a casa se questo ha la febbre.
Quand’ero piccola, noi non avevamo neanche il termometro. Una volta ogni tanto, se uno dei suoi figli scottava di febbre, mia madre gli metteva la mano sulla fronte prima di dargli una medicina. E mentre una madre americana darebbe al piccolo del Tylenol e lo porterebbe con sé al supermercato, una madre italiana non oserebbe mai fare una cosa simile.
Ho imparato a ‘correggere’ le temperature per soddisfare i miei bisogni – qualche tacca in meno per il marito e la suocera, qualche tacca in più se voglio che il pediatra venga a casa. L’ossessione della madre per la temperatura del figlio lo aiuta a crescere e a svilupparsi in un autentico ipocondriaco italiano, che sfrutta al massimo il sistema sanitario con frequenti esami del sangue e delle urine, e test periodici per scoprire se sia affetto da una malattia letale.
A volte faccio un giochetto con i miei amici italiani maschi. Se dicono che stanno male e hanno la febbre, chiedo: “Ma davvero, a quanto?” Poi conto il numero di valori che mi danno. Una risposta tipica: “Adesso a 37.5, ma ieri sera l’avevo a 38 e la sera prima a 39.” Il vincitore di questo gioco è sempre Pietro, il trentaduenne che lavora nel mio ufficio e si sta laureando in ingegneria. Vive a casa con la madre e spesso ha la febbre. Ammette di essere un po’ ossessivo, si misura la febbre almeno dieci volte al giorno ed è sempre pronto a fornire la temperatura. Tra una misurazione e l’altra, sua madre lo riempie di liquidi. Litri di tisana al finocchio, litri di tisana alla rosa canina, e litri di brodo di pollo. Poi, dice Pietro, una volta che la febbre è passata ed è pronto a tornare nel mondo esterno, lei lo fa ‘vestire come un astronauta’ con ogni centimetro del corpo coperto per resistere al notorio clima rigido di Roma.
Inoltre gli italiani sono convinti che se hai la febbre, devi restare a letto. E’ la scusa preferita per non andare al lavoro, saltare cene e ogni sorta di riunioni spiacevoli. Nessuno discute la febbre. Ho notato che quando un collega chiama dicendo che ha la febbre, ha sempre 38.9. Stessa temperatura è fornita da amici che rifiutano un invito a una festa: “Mio marito è a letto con 38.9 di febbre.” A me personalmente basta sapere che il collega non viene al lavoro o che la coppia non viene a cena. Non ho bisogno di sapere il valore esatto, ma gli italiani sì.
La mia esperienza di madre in Italia è tutt’altra cosa rispetto a quella di avere una madre americana. E’ dovere di una madre preoccuparsi costantemente per tutta la vita della salute dei propri figli. Mia madre aveva un approccio completamente diverso. Una volta mi ha detto: “I migliori pediatri sono quelli che ti dicono che tuo figlio sta bene.” E questo era l’atteggiamento che ha avuto verso la maggior parte dei nostri malanni. Ginocchia sbucciate, sangue dal naso, punti, ossa rotte… la risposta era quasi sempre: “Stai benissimo.”
Cibo e febbre sono in cima alla lista dei doveri di ogni brava mamma italiana. Altra ossessione è l’abbigliamento e infatti i bambini italiani sono vestiti perfettamente. Prima di tutto, devono mettere la canottiera. La chiamano addirittura ‘maglia della salute’. Li tiene caldi, anche nelle torride giornate estive, e previene la febbre, almeno così credono. Se una mamma osa saltare la canottiera, deve affrontare lo sgomento di tutte le amiche, zie e suocere, per non parlare dei mariti.
Sopra la canottiera, si devono indossare ogni sorta di abiti bisognosi di cure laboriose. Il mio primo figlio è maschio e sono rimasta a bocca aperta quando i nostri amici hanno cominciato a regalarci golfini abbottonati con il collo arricciato e maglioncini di lana. Non potevano regalarci qualcosa da mettere in lavatrice? La mia terza figlia è nata a giugno, quando a Roma scoppia la calura. Dopo poche settimane, si è coperta di bollicine dovute al caldo. Con disappunto di tutti quelli che mi circondavano, la lasciavo tutto il giorno solo con il pannolino. Un mese dopo siamo partiti per gli Stati Uniti. Per il volo, ho fatto indossare alle mie figlie dei bei maglioncini rosa – solo lavaggio a mano. Quando siamo arrivati, quello di Caterina era macchiato di sugo e Chiara aveva sbrodolato il suo. “Cos’hai contro le felpe di cotone lavabili in lavatrice?” ha chiesto mio padre.
Vicino al nostro appartamento nel quartiere Parioli a Roma, c’è un minuscolo negozio di abbigliamento per bambini chiamato ‘Mini Divi’. Non saprei bene come tradurlo in inglese – ‘Mini Divas?’ o ‘Little Stars?’ – però qui riassume perfettamente il modo in cui gli italiani vedono i loro figli. Il negozio è stipato di maglioncini di lana per neonati e abitini di lino ricamato per quando cominciano a gattonare. Mi sono resa conto che stavo diventando una vera mamma italiana quando mi sono sorpresa a guardare dei vestiti con un’amica osservando con voce melliflua: “Oh, non è un amore?” Una normale mamma americana entrerebbe in quel negozio, si guarderebbe intorno e uscirebbe di corsa. E se per caso dovesse restare, chiederebbe di sicuro: “Avete niente lavabile in lavatrice?” E la commessa risponderebbe: “No, signora, va lavato tutto a mano.”
Quando Nico ha cominciato ad andare a scuola, eravamo tutti eccitati per il primo invito a una festa di compleanno. Sapendo quanto fossero eleganti i bambini italiani, ho fatto indossare a Nico un bel paio di pantaloni di velluto a coste, camicia Oxford e (Dio ci scampi!) scarpe da ginnastica. Io sono andata com’ero vestita – jeans e scarpe comode. Siamo arrivati alla festa e quasi tutti i bambini portavano pantaloni corti di lana grigia, calzini bianchi, curiose scarpe da femmina con la fibbia, una camicia bianca con il collo arricciato e un maglioncino di lana. Uffa! A Nico non importava essere vestito diversamente, e neanche a me. Però mi importava delle madri. Erano una più elegante dell’altra. Ne ho vista entrare una con due bambini abbigliati con colli arricciati e scarpe con la fibbia. La loro mamma alta e magra, portava un bellissimo coordinato grigio di cashmere con top lungo e gonna corta. Le gambe lunghe e snelle erano fasciate da calze grigie satinate e ai piedi, un paio di scarpe grigie con i tacchi alti. L’ho guardata con invidia. Anch’io avrei voluto avere gambe lunghe e snelle e indossare minigonna e calze grigie. Solo che non avrei fatto in tempo a uscire di casa con i bambini che già si sarebbero sfilate. Mi sono avvicinata lentamente all’angolo in cui si erano radunate le babysitter e ho trovato una sedia. Mentre me ne stavo lì seduta a contemplare quelle splendide mamme italiane, mi sono scoperta a sperare che il bambino con la mamma vestita di grigio bevesse tanto succo e mangiasse quintali di popcorn e di torta al cioccolato. Speravo segretamente che avrebbe vomitato in macchina mentre tornavano a casa, sporcandosi la camicia frivola e i pantaloni corti di lana, ma soprattutto imbrattando l’abito di cashmere e le calze satinate della mamma.
Il comportamento dei genitori italiani ha degli aspetti positivi in comune con quello dei genitori francesi, come scrive Pamela Druckerman nel suo articolo “Perché i genitori francesi sono migliori”.
Come i francesi, gli italiani sono molto attenti ai saluti, ciao, arrivederci e grazie, e a usare la forma di cortesia con gli adulti.
Il cibo è un’ossessione nazionale e i bambini imparano le abitudini alimentari da molto giovani. Spiluccare non è permesso. Mia figlia piccola odia i carciofi, che però sono uno dei cibi preferiti di mia suocera, perciò Chiara ha imparato a mangiarli senza neanche squittire. Mio marito fatica a insegnare ai figli le buone maniere, postura eretta a tavola, non parlare con la bocca piena e usare le posate in maniera appropriata. Ci sono abitudini che mi sembrano assurde, come sbucciare una mela con forchetta e coltello. Ha dovuto faticare anche con sua moglie per questo. La prima volta che ci ho provato, ho lanciato una pesca dall’altra parte del tavolo dei suoi genitori. Credo che sua madre sia rimasta schifata dalla mia rozzezza americana. D’altra parte, mia madre è rimasta sbalordita durante una visita in Toscana, quando mio marito ha prenotato un ristorante di lusso per cena. Mia madre ha avuto un sussulto quando ha visto i tavoli apparecchiati con tovaglie di lino, bicchieri di cristallo e piatti di porcellana. “Non è un ristorante adatto ai bambini” mi ha sussurrato. Ma i bambini se la sono cavata alla grande, grazie al training ricevuto dal papà italiano.
In Italia, i pasti vengono consumati il più possibile a tavola con la famiglia e come in Francia, non usa sgranocchiare snack tutto il giorno. Il momento dello snack è a merenda, verso le quattro.
I bambini italiani imparano anche in giovane età che a volte devono stare pazientemente seduti durante eventi per loro molto noiosi, come per esempio una messa cattolica. Una volta ho visto una madre americana con i suoi tre figli in una chiesa a Roma durante la messa.
I bambini americani hanno cominciato ad agitarsi e la madre ha tirato fuori dei pacchetti di cereali. Gli italiani seduti vicino a loro li guardavano orripilati mentre sgranocchiavano rumorosamente le loro crocchettine rosa, gialle e verdi, le facevano cadere a terra, si chinavano a raccoglierle… insomma, un grande trambusto. Gli italiani non farebbero mai una cosa simile. I bambini devono restare pazientemente seduti durante la messa e dopo pranzare con la famiglia.